giovedì 31 marzo 2011

racconti brevi, molto brevi, microstorie.

Note odierne (1989)
Pensierini di fine giornata               
Fede ... fedina
Missiva speciale
“Office”
Sotto la gronda
Favola creativa
Primavera estate 2000
Irrazionale  
Evanescenze
Stress
Controllo  molecolare       
Digiuno esistenziale
Gelosia
Inganno
Nel cerchio del ...
Prima rata
Pensierino di Natale
Coppia romantica
Mattinata fuori ordinanza
NOTE ODIERNE (1989)


Nel reparto industriale dove lavoro c’è un Gabbiotto con panchine installato a norma di sicurezza, per le pause lavorative; nel reparto industriale dove lavoro “circolano” l’Unità e il Corriere dello Sport.
Il Corriere sta quasi sempre a fogli volanti sulle panchine; l’Unità si conserva molto più a lungo piegato come quando l’acquistiamo dal giornalaio.
In questo Box, quando ci tocca, sempre, e quando non ci tocca, quasi sempre, ci si va per fumare chiacchierare e fare una colazione frugale se il turno è di mattina.
Sono entrato, mi sono seduto, ho tirato fuori un libro, serie I Libri Pocket, è un tascabile, economico del ’75, il prezzo è di mille lire; è probabile che lo comprai in offerta a suo tempo, come oggi si compra  la Fanta e la Coca Cola al Supermercato.
Nell’intermezzo di queste meditazioni sono entrati due colleghi, si sono seduti davanti a me, ci siamo guardati e basta un cenno del capo per un saluto convenzionale, a un’amicizia che non c’è; sono cacciatori affiatati e rinomati; più rinomati, secondo me.
Non sono mai entrato in sintonia con loro, e loro con me, naturalmente.
 «La caccia è un diritto sacrosanto, perché è stata da sempre praticata dall’uomo; noi cacciatori paghiamo le tasse e teniamo in piedi l’economia».
Ricordo di aver sentito queste banalità da tutti i cacciatori, basta che una frase venga detta in uno di quei loro circoli e tutti la citano contenti e beati che esista una protezione di carattere storico e sociale. Non basta?
Uno dei due sbolla un pacchetto di sigarette, per un attimo l’ha mostrato all’amico; capisco che poi gli spiegherà qualcosa.
A mio modo di vedere, oltre che sparare a pennuti e non pennuti, hanno anche il brutto vizio di fumare e di considerare anche questo un diritto per via dell’economia delle tasse ecc. ecc. ... 
Sono convinto che in queste cose ci credono.
«Originali americane» Dice infatti all’amico.
«Non  sono le solite napoletane o del Vaticano» Chiarisce.
«Queste vengono dal Kentuchy» Specifica.
- Io non so se l’ho scritta bene quella parola, ma mi consola il dubbio che lui possa sapere di preciso da che parte dell’America stia questo territorio -.
L’altro, per non essere da meno, ha già pronto un accendino particolare tirato fuori da una custodia sicuramente particolare;
«Viene dalla Romania» Dice per informarne il collega.
«Faceva parte di cuna collezione russa».
L’altro non mostra interesse, così la finisce e porge la fiamma ad accendere la sigaretta al collega che gliel’aveva offerta. Accende anche la sua.
Questo tipo di comunella mi disgusta.
Guardano un attimo l’orologio elettrico sulla parete di prospetto, è come se gli desse il via; iniziano a smontare e rimontare un sovrapposto Breda e un automatico Franchi. Gesticolano entrambi, l’uno cerca di imporre all’altro le qualità incomparabili della sua arma, e in mancanza di supremazie assolute e inconfutabili, in mancanza ovviamente dei fucili che non possono essere introdotti dentro la fabbrica, tirano fuori santi e madonne, mai gli stessi, ognuno ci ha i suoi preferiti.
Cerco di capirli, la conversazione li esalta!
Non sono un puritano e bigottone neanche per sbaglio: ma a che cazzo gli serve bestemmiare? 
Il più esagitato è quello dell’accendino.
C’è rimasto male per la velocità con la quale l’amico ha liquidato la sua perla.
E poi, avrebbe voluto paragonare a quel suo catorcio di arma che si porta appresso da dieci anni, la sua, modernissima e di rara affidabilità?
«Questo è troppo, è troppo» Avrà pensato.
Ritengo che abbia cominciato con questo, ad incazzarsi.
Poi è degenerato; sono d’accordo se pensava all’accendino.
Tossisco, per la seconda volta, ma non lo faccio apposta; la prima volta hanno guardato il libro, quasi fosse stata la causa del tossire; in sette minuti ho fumato due sigarette e non ci sono abituato.
Sistematicamente, se c’è gente a fumare non c’entro affatto nel Box. Stavolta sono rimasto fregato.
Ma con loro non ce l’ho per questo; per un periodo della mia vita ho fumato anch’io.
È l’egoismo radicato che non posso sopportare.
È il pretendere che «A te ti deve stare bene lo stesso».
Tossisco di nuovo e loro rivolgono un’occhiata sospetta al libro che sto provando a leggere.
All’improvviso, come hanno cominciato finiscono. 
Franchi dice a Breda, menzionando un loro lessico particolare coniato per una battuta al cinghiale: 
«Si è rischiato quella volta, eh?»
Fanno capire che la battuta era di frodo.
«Tanto a lui, che gli frega?»   
Rincuorati spengono le sigarette nell’enorme posacenere di ferro posto al centro del gabbione; finalmente, me l’aspettavo, uno di loro, senza preambolo, chiede: «Ma che ti leggi?».
«Poesie» Rispondo.
«Ma questo è scemo!» Esclama subito in un trionfo.
«Scemo, proprio scemo!» S’affretta a sottolineare l’altro.
Io invece sono contento.
Hanno finalmente ritrovato il cameratismo aleatorio di prima senza subire traumi o strappi irreparabili per il loro rapporto; e una fetta di merito, una bella fetta me la prendo io.
Così, tra breve potranno mettere a confronto mogli e cartucce.
M’intendo assai poco delle cartucce, posso azzardare che nel confronto delle mogli, Franchi dirà che la preferisce un po’ mignotta, piuttosto che brava in cucina e perfetta con la lavastoviglie.
Breda dirà esattamente l’opposto.
Andranno a prendere un caffè al bar, dopo, se era un confronto “all’aperto”; avranno subito da ridire sull’atteggiamento professionale del barista, del gestore e della cassiera.
Stavolta in simbiosi perfetta. 
Le sigarette saranno italiane, e per accendere andrà bene il solito fiammifero. Quando non s’accoppano, debbono sempre sparare su qualcuno; è anche questa una vocazione. 
PENSIERINI DI FINE GIORNATA               
              15 Agosto
Una preghiera può aspettare.
Per una fuga di gas bisogna intervenire subito. 
TG, 13.30 ... Sono anni che passo il Ferragosto fuori...
TG,  Sera ...  Sono anni che lo passo in mezzo alla strada ...
Un signore ha voluto redarguire (da lontano) un ubriaco che con la schiena al muro, in evidente difficoltà d’equilibrio stava caparbiamente tentando di muovere le gambe.Gliene ha detto di tutti i colori. Come facevano le vecchie e le zitelle del quartiere che abitavo da bambino. Loro stavano sedute nei vicoli con le mani in grembo, aspettando per scandalizzarsi, le parolacce dei ragazzi o il vestitino un po’ corto di una ragazzetta che mostrava le mammelle in crescita.
AAAH! ... Le giornate si sono accorciate ...
Andrò a letto prima e mi sveglierò dopo.
TROVATELLO IGNUDO 
SAREI ALLIETATO 
DA UNA PASSIONE TRAVOLGENTE.
(Allestire un cartellone pubblicitario per comunicare, relazionare con eventuale disponibile signora.)
In questo periodo mi sento un cardellino.
Un cardellino padre ignorato da suo figlio.
Tra questi due animali, chi è che deve salutare per primo? 
Ho goduto di un sole paglierino.
Durante la mattinata ho operato, sono stato attivo; non ho squartato nessuno, ho portato a casa pomodori, basilico, rucola selvatica, fichi blu e mele ancora belle dure.
Il pomeriggio come sempre, un’oretta o due, è dedicato a Beethoven, Bach, Boito, Verdi, Puccini, Donizetti, Mascagni, Bellini, e ... a grattare su una mezza dozzina di punture di zanzara.
Non capisco che è successo, qui siamo in montagna, il clima è asciutto e fino a ieri, di zanzare ne sentivo parlare da amici che abitano giù in città e vicino al fiume. Qualche puntura me la provocano le vespe, perché quando individuo un loro nido prendo un giornale e ci appicco il fuoco.
In questo caso mi comporto come lo scemo del villaggio, so bene che bisogna farlo sul tardi o la mattina presto; io la mattina non mi alzo mai presto, in quanto alla sera tardi, non è tardi? Chi ci ha più fantasia? 
Beethoven era affetto da sordità fin da giovane, 
Bellini morì, molto giovane.
Donizetti morì pazzo. Che destini! 
Un genio può avere la stessa sorte di un malandrino, o peggio.
Scrive, compone, pennella, crea, poi si mette in fila, o già ci sta, e non gli riuscirà di creare nulla che lo salvi, almeno per un altro secolo da vivere per l’arte. 
Io sono convinto che l’arte ha più diritto.
Godevo di un sole paglierino,un altro giorno un altro mattino, in una città caotica come tante. 
Seduto sul cofano motore fumavo (prima fumavo!) una sigaretta guardandomi in giro.
Avvertii la presenza di qualcuno dietro di me e al centro della schiena sentii qualcosa di rigido premere lentamente tanto che la sollevai d’istinto. 
Capii e non ebbi il tempo di aver paura, una voce da baritono, all’orecchio, mi disse «Sta zitto, fermo, prendi il portafogli e sfila il denaro».
Dissi a me stesso che doveva essere un tipo al di sotto della media, riguardo la statura, perché capivo che mi stava parlando all’orecchio stando in piedi, e doveva per forza chiedere i soldi a qualcuno (per il lavoro che s’era scelto) a una persona seduta, per parlargli in quel modo asciutto e sicuro, all’orecchio.
Forse questa sciocchezza mi rassicurò. 
Dissi «Aspetto un amico e devo far benzina».
Lui ficcò il portafogli nella mia giacca annaspando un po’. Mi distrassi un attimo a seguire una macchina che sgommava al semaforo e mi accorsi che ero di nuovo solo, aspettando un amico che avevo inventato in una città che non conoscevo.
Si era svolto tutto in due minuti. 
Non l’ho mai ritenuta una rapina o perlomeno non un qualcosa di pericoloso. È un fatto di tanti anni fa, che non m’impedì di tornare a casa. 
Nel portafogli ci trovai una banconota, e risalendo in macchina, mi fermai al primo distributore, feci benzina e lo considerai come un debito d’amicizia. 
Dopo una rapina i portafogli non sono vuoti?
Io sono sicuro di aver qualcosa da dire, cosi facendo non dovrei perdere questa convinzione; se la perdessi, cerchiamola, cerchiamola. 
Da un po’ di tempo ho riscoperto il piacere di scrivere qualcosa, in genere io penso sempre a qualcosa, e sistematicamente non scrivo niente. 
Sono svogliato, ci vuole troppo tempo, e poi le correzioni, i cambiamenti, e rileggi, rileggi. 
Però sono tra i pochi, credo, che ha cominciato ad avere un diario a quindici anni, fitto fitto fino a metà. 
Ne tenuto uno a diciotto, uno a venti, uno a ventisette (sì, con questi spazi), uno a trentadue, e uno a cinquanta.
Io tengo un diario come quelle persone che non hanno un lavoro fisso, e non vivo dì sogni, coi sogni riprendo fiato e sono arrivato, tra poco alla fine di Ottobre, a cinquantatre anni.
Aspettami compleanno!
Sulla torta metterò i numeri al contrario.
Ci avreste mai pensato?
Il quarantatre, per esempio, ci sta bene. 
E il mio, ancora meglio.
C’è solo un anno di differenza.


FEDE ... FEDINA


La tradizione vuole che il giorno di Pasqua non si faccia colazione col solito e sbrigativo caffè o peggio con il discutibile abbinamento cornetto-cappuccino; il primo saturo di grassi come affermano i nutrizionisti. 
La tradizione esige che la mattina di Pasqua ci sia a tavola, pizza cresciuta, uova sode e salame.
La tradizione non è contraria alla colomba e al bicchiere di vino.
Un’altra tradizione dice che quello rosso fa sangue.
Meglio non interferire.
Rispettosi della tradizione ci sono quelli che considerano due bicchieri meglio di uno; e ci sono anche quelli che sviluppando l’aritmetica, arrivano a tre e a quattro.
Io consiglierei di fissare questa come ultima misura.
Poi ci si prepara per il pranzo, conversando e dando un’occhiata alla tavola che via via si va completando con vino, acqua, pane, e piatti di portata con uno stuzzichino. Al grido «A tavola!» arriva subito la brigata dei commensali: la tradizione è esplicita «Natale coi tuoi, Pasqua con chi vuoi».
Eccomi a tavola, come invitato.
«Gradisce un aperitivo?» 
- Come no! Grazie! Prendo sempre due dita di whisky quando sono a casa. - 
«Jack Daniel, va bene?»
- Perfetto, mi sa che Lei è un intenditore. -
«Non proprio, sa, ma mi piace stare al passo coi tempi.»
L’antipasto-stuzzichino è di buona fattura, c’è tutto.
Il vino consigliato è un chianti col putto, rosso, se qualcuno non lo conosce. È invecchiato e il padrone di casa ha stappato la bottiglia due ore prima, l’ha travasato in una bella caraffa di vetro, chiaro, trasparente.
Sempre per stare in regola coi tempi, ritengo.
Eccomi a gustare un favoloso piatto di fettuccine. «Fatte in casa, non comprate» mi confida a voce alta il padrone di casa.
Guardo la signora e aggiungo che il profumo del ragù è inebriante. Mi pare che la signora arrossisca un pochettino.
«Aspetti, aspetti a complimentarsi – gongola il marito – siamo all’inizio».
Io, per non ricascare in certi errori del passato (ci sono casalinghe che se non le fai un complimento ti si fanno nemiche),  ogni portata ne faccio uno, e se mi accorgo che c’è stata qualche omissione involontaria, ne faccio uno doppio.
Dalla fiamminga che scotta, viene servito abbacchio e patatine al forno, la signora tira un sospirone, poi si scusa dolcemente, dice che le patate non sono novelle, non le ha trovate.
- La Sua cucina è comunque apprezzabilissima - dico,
- Lei farebbe miracoli anche con le bucce - Esclamo!
Stavolta arrossisce davvero.
Un buon caffè completa ogni pranzo.
E sono io che suggerisco un grappino; lui mi dice che ne ha una bottiglia distillata proprio dal suo fittavolo.  - Doppio, allora, consiglio io.
Dopo quest’abbuffata, non posso essere sempre quello che nella conversazione con una coppia religiosa-credente, che manco a dirlo è contro l’aborto e assolutamente convinta dell’indissolubilità del matrimonio, entra subito in una scaramuccia dialettica avversa. Dichiaro solennemente ... che il Cristo che risorge era un uomo eccezionale.
Sorrido alla bugia che sua madre è ancora vergine.
   


MISSIVA SPECIALE


Scusami, non verrò mai a trovarti in quel viale di ghiaia e di cipressi, dovrei conferire con una foto a colori.
Con una foto a colori incollata ad una lastra di pietra fredda come l’inverno, grigia e spenta come un cielo ostile.
Dovrei sentire sospiri, lamentele, sfoghi di pianto dolore e rassegnazione?
Ti stanno vicino solo anime morte, non ti sono amiche e non ti fanno compagnia, sono anime senza speranza e vorrebbero convincermi che come loro anche tu sei morta e che non mi ascolti, non pensi a me. Non è vero, è solo invidia, e tu non hai bisogno di un fiore che appassisca il giorno dopo, né di una pianta che rinsecchisca al sole.
Ricordi? T’affacciavi da quel muricciolo, tanto tempo fa.
Non posso venire da te, morirei anch’io. 
Perché ti evoco ogni giorno, ogni istante del giorno che ricomincia come una nenia, ti ravviso in ogni espressione d’amore e di dolcezza, ti chiamo ti confido felicità, dubbi amarezze, a te sola, a me stesso e al bambino ch’è rimasto attaccato a me come una vernice. 
Chiamami, come facevi affacciandoti da quel muricciolo tanto tempo fa.
Tu cadesti come un pettirosso ferito alle ali, come una colomba ghermita da un falco; cadesti senza ferita, senza odiare nessuno.   
Amandoci cadesti, reagisti, ricadesti infine senza una lacrima nella corsia e in un letto d’una camera d’Ospedale.
Dovrei mettermi l’anima in pace come fanno gli altri? 
A me succede tutto il contrario, in me è ardita la convinzione che tu sei una speciale, e che il presente, questo presente in cui io stesso mi affaccio, e di cui credo di essere interprete come attore in un dramma o una commedia, ma comunque una recita, sia una finzione un’attualità finta e presente; il vero e reale è il passato, proprio in virtù della tua indiscussa esistenza, una realtà vera col suo bagaglio d’esperienze ancora viva e valida, non recente ma consolidata. Ricordi? 
T’affacciavi da quel muricciolo e mi chiamavi per farmi rientrare a casa, il pranzo era a tavola e a tavola c’erano i libri e i quaderni per fare subito i compiti.
Stavo a giocare sopra un montarozzo di pozzolana e calce indurita, con i miei compagni, ci arrampicavamo sulla cima per poi scivolare giù con un cartone sotto il sedere per acquistare velocità.
«Ecco! ... Arrivo!...» dicevo per rassicurarti. 
Tu pazientavi ancora e tornavi a chiamarmi.
«Ecco ... Sto arrivando... Giuro...» 
Tu pazientavi e tornavi a chiamarmi. 
«Ecco ecco, l’ultima scarrozzata». Ma non era vero.
E seguivano altri dieci e venti e cento scivoloni sulla pozzolana per l’ingordigia e la novità del gioco.
Allora mi agguantavi da dietro, a tradimento. 
E mi tenevi con un braccio stretto al tuo fianco e quasi mi trascinavi, minacciavi di prendermi a schiaffoni sul sedere, «Sì proprio davanti ai tuoi compagni» dicevi molto seriamente, ma nei tuoi occhi c’erano solo morsi d’affetto.
Tornavamo a casa abbracciati come amanti.
Dopo pranzo mi vestivi d’amore e mi mandavi a giocare con la promessa di fare i compiti; senti te lo confesso, per farti credere che traducevo il francese meglio di tutti, leggevo un testo d’italiano che avevo inserito nel libro.
Chiamami, come facevi affacciandoti da quel muricciolo, chiamami stanotte; svegliami scuotimi trascinami, portami a giocare in quel posto, io non posso farlo tocca a te.
Verrai a riprendermi e torneremo a casa abbracciati, ti prometto che farò la traduzione senza fregarti, chiamami stanotte, devi farlo tu.
Tocca a te, mamma.
“OFFICE”


Sentivo dire che il mattino ha l’oro in bocca, io ho un boccone da mandar giù; vado sempre di corsa.
Si digerisce alla svelta con uno stomaco agitato, e non vado neanche in sovrappeso, soprattutto non perdo il treno; dal lunedì al sabato è sempre così, anzi, una cosa è cambiata, il treno non arriva più in ritardo, è puntualissimo, e i mattinieri incalliti abituati ad aspettarlo trenta minuti prima come se si trattasse di una bella donna, adesso di sicuro non ci vanno a letto, ma possono scegliersi vagone e scomparto.
Il macchinista che si è alzato prima di me, avvia il treno verso la capitale; è là che si va a lavorare, nei nostri paesi tutto è abbandonato, casa e terreni compresi, questi luoghi sono diventati per vecchi e osterie. Quando c’ero, raccoglievo la frutta e andavo a venderla a un minimarket, poco distante; un giorno il padrone dopo scaricato, mi disse: «Domani lascia perdere, ‘ste mele bucate non le vuole nessuno, oggi fanno la spesa con gli occhi, non te la prendere, prova con un banco in piazza».
«Perché, lì se la comprano?» ho chiesto. «Mah!... Provaci» ha risposto. E se ne è andato dietro il banco degli affettati.
«È qui che si guadagna» mi disse in un’altra occasione. 
Non ho bestie da macellare ma se le avessi e cercassi di vendere la carne mi sentirei dire che è scura, dura e il resto. 
Insistere con la frutta, ho capito che era come se cercassi di vendere un vestito indossato da mia moglie, in una sfilata di moda in competizione con le Top Model del momento; lo comprereste un vestito indossato da mia moglie? Pesa ottantasei chili ed è alta per eccesso circa uno e settanta.
Questo lavoro mi piace, un paesano alto funzionario mi presentò ad un tizio; con lui andai a colloquiare con un’altra persona e tutt’insieme, credo mi procurarono l’assunzione.
Appena arrivo timbro la presenza, mia e di un gruppetto di colleghi (sono l’ultimo arrivato e devo sottostare agli anziani proprio come i soldati di leva; e così il più è fatto. Prendo posto nel mio Office per l’informazione al pubblico; so tutto a memoria, è vero che qualche volta do due risposte diverse alla stessa domanda, ma la gente vuol sapere sempre un sacco di cose e t’induce all’errore, non è vero che la gente vuol sapere troppe cose? È così, non è vero? Poco fa un tizio ha detto che sarebbe andato a reclamare (Dove? dico io). Do io l’informazione, è compito mio, Cristo!
Ci sto io all’“office”!
SOTTO LA GRONDA


S’è messo a piovere e non me ne sono accorto. 
Leggevo un giallo senza interesse e un’aria umida ha invaso la stanza; scosso da improvvisi brividi ho visto la vetrata scorrevole mezza spalancata.
«Se vai giù fa’ cambiare l’aria» Aveva comandato la mia signora.
«Si sente la puzza del camino da un chilometro di distanza» Aveva aggiunto.
«Vedi un po’ di non dimenticartelo» Aveva continuato.
«Almeno una volta!» E finalmente aveva concluso.
Difficilmente arrivo nell’atrio col bagaglio di tutte le sue raccomandazioni, me le perdo scendendo le scale e pensando contemporaneamente ad altre cose.
Come una brava donna ha sempre un vezzo aggiuntivo; però stavolta ha ragione sulla puzza, si sente davvero.
Ha esagerato con la distanza però; comunque per non sbagliare spalanco tutta la veranda. 
E la lascio aperta, così vedo l’acqua scendere chiara senza le rigature e l’appannamento dei vetri.
I passeri del parco sono venuti tempo addietro a ripararsi sotto la gronda delle tende da sole che da Ottobre stanno arrotolate per restarci tutto l’inverno e buona parte della primavera; cioè fino a quando, dice la mia signora, il tempo sarà assolutamente buono.
I furbacchiotti (parlo dei passeri) hanno capito e sono perfettamente d’accordo con le scelte meteorologiche della mia signora, sono venuti a ispezionare un posto che per loro dev’essere particolarmente gradito; ieri per esempio c’era un va e vieni, come se chi l’aveva scoperto aveva anche sparso la voce, tanto che mi è sembrato di vedere una banda al completo che provava l’insediamento con le immancabili svolazzate di chi fa il prepotente.
Ma sono passeri e quel poco danno che riescono a fare sparisce con due colpi di ramazza.
A proposito di colpi, negli anni cinquanta avevo per amichetto d’infanzia un ragazzaccio con una fionda e una mira davvero infallibile. Quando ci si metteva riusciva a fare le stragi e tutti ammucchiati nelle saccoccie correva a portarli a casa dei nonni.
Io avevo uno spirito “protezionista” e ci litigavo sempre, anche  a brutto muso e lui che invece si divertiva a vedermi arrabbiato, col mignolo della sinistra simulava di stuzzicarsi un dente e si passava la lingua sul labbro superiore, a destra e a sinistra.
Considerandolo adesso, capisco che quelle magre coscette riuscivano a guarnire un piatto di polentone scondito.
Se dico che c’era la fame e s’era patita qualcuno si mette a ridere. Meglio così.
I ragazzetti di oggi non potrebbero capirlo. Sono tutti moderni e benestanti. Hanno tante confezioni di merendine che spesso scadono e finiscono nell’immondizia, ma sanno usare il computer e il cellulare molto meglio di me. Senza invidia. 
Magari è un peccato se non sanno usare una fionda. Non la userebbero per abbattere i passeri, ci scommetto; contro un lampione invece non ci metterei la mano sul fuoco, e allora è meglio che non sappiano usarla; a mano libera una sassata è molto meno precisa se si vuole colpire un bersaglio alto e distante.
Leggevo un giallo, dicevo, e a me i gialli non piacciono, ma è capitato che ogni tanto ne abbia comprato qualcuno e che l’abbia messo insieme a tutti gli altri in libreria; quando scendo in veranda ne prendo sempre uno a caso per leggerlo sul divano.
L’ho preso “al volo” stava di traverso tra l’ultimo volume della Bibbia e il muro.
Mi ritrovo dentro una storia ricca di cadaveri, c’è uno stupro, una rapina attribuita prima all’eversione di sinistra e poi a quella di destra, un bambino rapito e rirapito da due contendenti, e poi da due bande; l’ispettore ha problemi famigliari, e spesso abbandona le indagini e si va ad ubriacare.
È un giallo americano, tradotto in italiano.
Un impulso irrefrenabile mi porta ad una rapida selezione delle pagine, scrutando tra le righe i punti esclamativi o i nomi nuovi che possono anticipare l’epilogo di quella situazione complicata; così collegando il letto, lo sbirciato, il dedotto, il risaputo, lo scontato, e con l’aiuto delle ultime pagine, ho “acchiappato” il colpevole; due, un coppia amanti-drogati-depravati. Tanto innamorati e stanchi da confessare tutto.
Il libro finisce e non ci sono condanne. 
Gli autori di gialli dopo la faticata di scovare il colpevole, non condannano nessuno, altrettanto fanno i giudici forse perché sono lettori di gialli e non vogliono prevalere con la loro professione. In questo caso trattandosi di innamorati, se qualcuno si è presa la briga di condannarli, poi non deve però accanirsi con un’altra condanna se l’amante maschio evade per ricongiungersi alla sua amata, credo si siano scordati di metterla nella cella attigua, comunicante per i bisogni corporali, e stavolta il reato è giusto, giustificato. Perché ricominciare con una montagna di carte bollate?
FAVOLA CREATIVA


Nel corso di formazione per giovani aspiranti allievi per il “Secondo gradino dell’Olimpo” con qualifica di Sottodio Supplente Avventizio, un allievo molto bravo ragazzo aveva per compagno di stanza un pelandrone vizioso perditempo spaccone, tralasciando qualche altro attributo altrettanto qualificante credo di aver reso facile l’identificazione di questo soggetto. A quello bravo piaceva scorribandare nello spazio libero avvalendosi del distintivo che portava appuntato in petto, alla ricerca di avventure facili molto facili e galanti. 
Un giorno s’era messo ad inseguire svogliatamente due figliastre di un’addetta alla cucitura delle tuniche di seta bianca per le vergini custodi del fuoco sacro. 
Madre e figlie erano “chiacchierate”.
«Il che vuol dire - si affrettò a fargli sapere il suo compagno di stanza - che sono di quelle che la danno a tutti, a cani e porci».
«Ti sto dicendo che sono due mignotte, lo capisci cucciolone?».
Sì, lo capiva e in quel modo proprio a malincuore, perché quel suo compagno di stanza che si spacciava per suo amico e non lo era, lo aveva sempre declassato, non perdeva occasione per farlo desistere dai suoi propositi con cortesia e falsità. Ma non poteva inimicarselo in quanto lui personalmente aveva certe “conoscenze” e suo padre era gran cerimoniere di un altissimo magistrato e si sa, la giustizia è un elastico tirato al massimo, a qualcuno quest’elastico finisce sul naso senza sapere da dove provenga questa particolare e non richiesta gentilezza. 
La presenza e gl’interessamenti di questo collega gli procuravano sempre un inspiegabile malessere quasi un’ansia costante, debilitante e alla quale si sentiva soccombere e non avere la forza di reagire; era sicuro che gli facesse male di proposito, spinto da una forza caratteriale, da un animo cattivo ... sì questa convinzione l’aveva di continuo, quasi un’aggressione: quel suo “amico” era d’animo cattivo, nel senso più antico del termine. Un demonio candidato alla carica di sottodio.  
E gli cascarono definitivamente le braccia quando l’amico premuroso, con un sorrisetto da paraculo primo della classe aveva continuato dicendo «Che gusto c’è a conquistare una pollastrella che smania dalla voglia di calarsi le mutandine?».
Ma lui come faceva a saperlo? Come faceva a sapere sempre tutto di tutti, di qualunque cosa al momento giusto? Una donna anche se fa la puttana di mestiere quando non sta sulla strada a fare le marchette è una signora come le altre, e se non la conosci, non ci sei stato anche tu qualche volta a fare sesso e l’hai pagata e sai che è una puttana, non te lo sogni neanche che mestiere fa, magari se è una bella donna e sta alla fermata delle carrozze per i pendolari che lavorano all’Olimpo, ti rivolgi a lei con una malcelata timidezza solo per chiedergli quante clessidre si sono svuotate da quando è lì ad aspettare che passi. Sì ... una donna se non è etichettata, marcata, additata, è solo una donna con il suo canone di bellezza.
Decise comunque di perseguire il suo scopo, solo che cambiò itinerario e andò a farsi un giretto.
Molto presto adocchiò una massa di materia che si andava amalgamando, la vide tondeggiante, un po’ schiacciata ai poli ma in lenta ed armoniosa rotazione intorno al sole. Ci girò intorno attento a non farsi lambire da ancor vive lingue di fuoco; penetrò nebbie e vapori con la sua vista semispeciale e scorse un angolino niente male, un’oasi di verde pastello e riflessi multicolori, specchi d’acqua simili a brillanti e vegetali stupendi diversi per forme e toni di colore.
Sfolgorò a braccia aperte e in due saette ci arrivò. Rimase a contemplarlo per un paio d’ore ammirò un basalto ancora fumante e pensò di depositare su quella pietra calda la sua “IDEA”. «Tornerò in questo posto, disse, è l’ideale, l’ho trovato per caso ma è lui il prescelto» ... Lo disse e lo disse ad alta voce, e qualcuno ascoltò ... ascoltò con attenzione.
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Un giorno ritrovò quel posto, scavò su quel basalto e ci ficcò “L’IDEA” la sua idea sperimentale,  ci mise un “UOVO”. Un uovo dimenticato e sottratto al Centro Evoluzione Spaziale. Indebitamente e pericolosamente sottratto, specialmente se qualcuno avesse potuto dimostrarlo e denunciarlo ai GIUSTI; un Tribunale senza appello.
Coprì l’uovo con una manciata di polvere di stella cometa, fece una mappa mentale del posto e a voce alta disse: «La prima fase è in atto, non mi resta che aspettare». 
Lo disse ad alta voce e qualcuno ascoltò.
Sfolgorò a braccia aperte e in due saette andò a piazzarsi all’ingresso del padiglione per la cucitura delle tuniche da dove sarebbero uscite quelle dolci fanciulle che il suo amico crudele appellava mignotte.

Passò il tempo e il tempo che passò non doveva rendere conto a nessuno, così passò e lui solo sa quanto ...
“Accadde di notte e non si può dire che notte era, se mancava una pennellata di cobalto in cielo e se le stelle erano mille o cento, se c’era la luna per intero o solo per un quarto; l’uovo crepò, si aprì come un frutto maturo caduto dall’albero, dall’uovo sgusciò la prima donna uovo, la donna per prima cosa si tastò, e poi corse a specchiarsi in un letto di rugiada, si vide bella ed era bella, color di rosa pallido il viso, e il seno era eretto e le spalle, e il ventre era piatto. Si coprì il seno con le mani, prese una foglia e coprì il sesso, e si guardò intorno e non vide che foglie e piante, ebbe paura d’esser sola e cercò dei rami per fare una casetta, quando fu stanca si coricò e quando fu notte chiuse la porta e dietro la porta mise un chiavistello”.


Passò il tempo e solo il tempo può dire quanto ne passò.
Il dio avventizio ritrovò quel posto che aveva ben memorizzato e disse «Meno male, sono stato fortunato, e nessuno mi ha visto». Lo disse ad alta voce e qualcuno sentì, e qualcuno l’aveva seguito.
L’uovo non c’era più e nemmeno una traccia da seguire, e tutto il giorno cercò e cercò ...


Passò il tempo, passò tutto il tempo che passò...
La prima donna se ne stava tutto il tempo da sola ed aveva tutto il tempo, ma il tempo non poteva farle niente e non l’accarezzava e non la desiderava; si specchiava da sola nella rugiada e si toccava il seno e  sotto la foglia, dormiva sola.
Accadde di notte, il dio avventizio aveva seguito una traccia fino a tardi, la traccia portava alla dimora della prima donna uovo; dietro la porta non c’era il chiavistello, la spalancò, la vide distesa sul letto era nuda, rosa e si emozionò, restò impalato sulla porta lei tirò su le ginocchia aprì le gambe e l’invitò.
Lui chiuse la porta e si distese sul letto e chiuse gli occhi, lei lo carezzò sulle spalle, lo baciò e lo toccò. La passione avvolse i corpi, lui la penetrò e si riposò e la penetrò dodici volte.
All’alba la lasciò e prima di sfolgorare a  braccia aperte disse ad alta voce «Sono felice, e nessuno conosce il posto».
Invece no, qualcuno l’udì, qualcuno aveva visto.
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Passò tutto il tempo che doveva passare, successe quello che doveva succedere; la prima donna fece un uovo.
Dall’uovo venne fuori una specie di sgorbio, curvo, malaticcio, senza carattere, senza palle.
Succedeva sempre di notte, il dio avventizio apriva la porta, fuori della porta buttato come un cencio dormiva lo sgorbio, dietro la porta non c’era il chiavistello.
La donna si attaccava al suo corpo, lui la portava sul letto.
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Passò tutto il tempo che doveva passare, accadde quello che doveva accadere, la donna fece un altro uovo, quest’uovo se lo portò a letto e da quest’uovo uscì un essere gagliardo, forte e sicuro; un pezzo d’uomo con le palle.
Successe di notte, il dio avventizio rimase di stucco, nel trovare il suo caro amico ad aspettarlo con un sorriso amico e andò per salutarlo e si avvicinò ... e poi stupì nello scorgere un coltello e la mano amica che vibrava il colpo dritto al cuore; senza dolore, muto si accasciò, restò a guardarlo e voleva dire perché; ma non uscì un suono, la vita se ne andò.


Passò il tempo e tutto quel tempo la donna sopportò.
Metteva il chiavistello e si stendeva sul letto.
Passò altro tempo e non lo sopportò.
Prima di coricarsi toglieva il chiavistello.
Successe quello che doveva succedere,
Successe di notte, l’amico andò a prendere il suo posto; spinse la porta ma c’era il chiavistello, qualcuno lo alzò e questo caro amico entrò dentro, s’avvicinò alla donna distesa sul letto e subito gelò perché da dietro un paravento un gagliardo col pene eretto si mise in mezzo; con la destra stringeva un randello, gli occhi fissi sul suo cranio.
Allora indietreggiò sudando freddo, passo passo guardando il randello e il pene eretto, un passetto ancora e sentì d’essere sulla soglia ... un altro passo e inciampò sul corpo dello sgorbio che ci stava accucciato, cadde di peso come un sacco di patate batté la testa in modo così violento che non ebbe più paura, non ebbe paura di niente.
Non avrebbe mai saputo che prima di toccare terra un colpo di randello gli aveva fracassato il cranio.
PRIMAVERA ESTATE 2000


In una passerella per vestiti da donna presentati da professioniste dell’alta moda, “nel mezzo del cammin della sfilata” ho apprezzato un seno che si celava e si scopriva nell’incedere disinvolto dell’indossatrice.
Primitivo e perfetto.
Simpaticamente ostentato, forse ritoccato ma egualmente in carne e ossa nel contesto della persona.
   Quel vestito ha svegliato il mio iniziale disinteresse, e mi ha stimolato al punto che sarei salito sulla pedana per andare direttamente a rendergli omaggio con un casto bacio sul seno, se non mi fossi trovato sulla poltrona davanti alla TV.
Quando la donzella è rientrata nel camerino ho cambiato subito canale, ci stavo annoiato già da prima debbo dire.
Per cinque minuti me ne sto buono a vedere uno sceneggiato fatto e rifatto, avevo fotogrammi del seno che si sovrapponevano ai personaggi, e li sopporto senza allungare le mani sulla busta delle noccioline americane: «Trovo sempre le bucce sotto il divano» Si lamenta la donna delle pulizie.
Si lamenta pure che viene solo due volte.
Non bastano due giorni a settimana?
Sono solo, quanto casino posso fare?
Forse la manderò in licenza o la farò venire tutti i giorni.
Non mi piacciono le mezze misure in questi casi.
E’ il momento di consultare i programmi, dovrebbe esserci Quark con Piero Angela, e se non mi sono sbagliato, non cambierò programma per tutta la serata.
Potrei rinunciare al programma solo se mi citofonasse la mia amica (quella fissa) magari per propormi una margherita in pizzeria.
Dopo quella, di solito viene anche il resto, a meno che non gli giri male; quando il programma è suo e sua la citofonata non succede mai; con un buon inizio, mi guardo bene dal contraddirla, gli argomenti sono terra terra e l’armonia ci accompagna al solito posto, in macchina.
Mi piace che le serate si concludano in questo modo, una pizza da sola e una chiacchierata vanno bene con i vecchi amici, quando capita.
Oppure, potrei rinunciare se mi venisse a cercare con l’abituale grazia, la signora del piano di sotto, l’ultima arrivata; spesso non gli funziona qualcosa dentro casa; mi dice: «Lei può aiutarmi, s’intende un po’ di tutto»
«Scendo subito». L’assicuro.
«Grazie». Fa lei.
E poi, «lascio la porta socchiusa» aggiunge.
Conto lentissimamente fino a dieci, sosto a controllare la faccia alla specchiera dell’ingresso, e vado.
L’ultima volta ho fatto una rampa di scale e sono rientrato, mi sono fatto un altro sorrisetto da primo della classe, mi sono data una spruzzatina di dopobarba anche se la rasatura era del giorno avanti, ho dato un’altra sbirciatina alla mia faccia e gli ho detto: «Tonifica e rinfresca».
Nelle occasioni che ho avuto ci sono stati strofinamenti casuali (?) ma io confido in una sterzata attrattiva.
La signora ha un profumino delicato, addosso; un profumo naturale, di pelle.    
IRRAZIONALE  


Una porzione di cielo amico pulito leale!
Un condominio non eccessivamente rumoroso! Scusate, ad un gatto randagio non serve lisciargli il pelo, è bene lasciarlo acchiappare i topi di campagna e quelli di fogna, perché fargli trovare apparecchiato un bel piatto di manzo tirato fuori da una scatoletta di metallo? Che cos’è, un invalido? Con questi inutili riguardi lo diventerà presto.
All’attico del mio palazzo tengono un terranova enorme. Non possono fargli fare un tuffo dalla terrazza anche perché e il cane lo capisce da solo, là sotto non passano le onde del mare, c’è piuttosto un malessere esistenziale di centomila auto costrette a transitare notte e giorno nella piazza con rotatoria, divieto di svolta a destra e obbligo di svolta a sinistra. Dritti non si può andare, c’è un vecchio palazzo rinascimentale con colonnine e cornicioni ricamati.
In compenso se accendi la televisione puoi fare acquisti con una telefonata e se ignori il telegiornale ti senti bene già a sentire quanti ti assicurano di aver perso dieci e venti chili prendendo due pillole, senza rinunciare alla pastasciutta e quant’altri ti dimostrano che puoi stare in perfetta forma fisica stando comodamente seduto a leggere il giornale, tanto c’è un perfetto attrezzo studiato apposta per non farti muovere a darti tutto il benessere fisico necessario per essere ammirato dalle donne (sempre che ti piacciano, naturalmente). Poi se te la passi bene, nessuno della TV ti rimprovererà della tua ricchezza rammentandoti che per andare in paradiso dovrai donare le tue sostanze ai poveri; i poveri allora diventerebbero ricchi? E a loro volta saranno costretti a donare quello che hanno ricevuto ad altri poveri ... i quali si troveranno  nella condizione odiosa di rinunciare a una ricchezza sempre anelata e mai raggiunta?
Ma questo è ... diabolico!
Per elevarmi moralmente in alto m’è venuto il desiderio di scendere in garage e regalare la bicicletta che tante soddisfazioni mi ha dato quando ancora non avevo la patente. D’altra parte ingombra l’angolo dove ho sempre pensato di mettere una comoda e pratica scaffalatura metallica.
Sì! Aspetterò che passi qualche rumeno o albanese appiedato e gli farò omaggio della bici, tanto ... ho la macchina e la moto.
Di una vecchia bicicletta ingombrante, che ci faccio? 
EVANESCENZE


Baby, sei talmente bugiarda che potresti dirmi d’essere capace di bere tutta l’acqua del mare nello stesso tempo che a me serve per consumare un  Martini Dry al bar; sei talmente bugiarda e presuntuosa che potresti asserire che un Martini Dry a digiuno accelererà i sintomi della gastrite diagnosticati prima da te e poi dal medico di base e che avrò per quello il solito male al pancino, mentre a te tutta quell’acqua salata ti stuzzicherà l’appetito.
Non sei abbastanza ignorante da giustificare questa forma galoppante di insulsaggine acuta. 
Detto questo (e che ho detto?)  mi ha tolto la parola per tre mesi, due giorni e quattro ore.
Chi è costei?
Adesso sono troppo amareggiato, fuori fase e digiuno di sesso per fare filosofia e scendere nei dettagli. Un vecchio adagio recita: «Chi mi battezza m’è compare». Lo ammetto, mai come adesso lo cambierei in «m’è comare». Forse perché mai come in questo momento sento la necessità di un’assistenza femminile; dispotica, fiscale, come preferite, ma femminile, essenzialmente, materialmente femminile, un’Eva in carne e ossa, un’Eva gagliarda.
Io ho bisogno di una femminile amorevole assistenza. (Fino alla morte!) Non credo in dio, credo nell’amore. E se dio fosse amore, come amano abusare in informazioni gratuite e assillanti, io sarei propenso ad una fusione, unione corporale uomo-donna; una specie di fidanzamento biologico-soprannaturale. In ogni caso, l’uomo sono Io. Con la i maiuscola come amano scriverla gl’inglesi.
E mi sento in vena di fare un’altra confidenza: non mi sono mai fidato dei primi della classe (il primo della classe nei miei anni all’elementari era un emerito ruffiano figlio di madre e padre ruffiani, bigotti e cattivi) e non mi sono mai fidato degli ignoranti (spesso colpiscono alle spalle, ma per mancanza di cultura ovviamente, non per codardia). Io considero tuttora le correzioni in rosso sui compiti in classe preziose per la vita e in mezzo alla strada,  se quella è la vita che ci attende; credo per questo che il barbone sia un pigro, cioè uno che ha ricevuto tante correzioni in rosso nei compiti in classe e forse per questo la sua vita si svolge in mezzo alla strada alla continua ricerca di fare un bel compito in classe senza correzioni, senza segnalazioni in rosso. E poi credo che sia uno che non ami radersi, e che venga per questo nominato “Barbone”.
Io non sarò mai un barbone perché amo radermi tutte le mattine; a scanso di equivoci, se lo diventassi, andrò in Francia. Perché parlo francese e non mi chiameranno barbone italiano; sarò Clochard a tutti gli effetti.
Un barbone straniero con le carte in regola.


STRESS


In fila, incolonnato, in compagnia di una mezza dozzina di colonne di automobili, dopo innumerevoli stop, procedo al passo; che consolazione se nei paraggi ci fosse una caserma con la garitta di fuori e un soldato di guardia! Un soldato che fa la conta suo malgrado delle auto nazionali e di quelle straniere, come facevamo da ragazzi, accanto al primo semaforo istallato nella nostra cittadina di provincia.
Potremmo farlo insieme in attesa della fanfara che annuncia il cambio della guardia e riporta il soldato al turno di riposo in branda e io del segnale immancabile che tra breve risuona richiamando gli automobilisti alla riscossa, e non si sa mai chi è così bravo a darlo per primo, comunque è sempre un clacson con note musicali arciconosciute, acute insistenti e monotone che comincia.
Che dicevo? Ecco ... alle prime note s’è scatenato un inferno sinfonico assordante e suonano tutti, lumaconi, neopatentati, vecchi esperti, professionisti di rango e manuali generici, e ci si è messa pure questa zitella antipatica che fa grattare continuamente la prima e m’ha guardato quasi ravvisasse in me uno di quelli che avrebbe desiderato accanto a sé, bravo e disinvolto a manovrare il cambio e ... altro. Basta! ... Basta, il vigile non sa dove mettere le mani, cerca di stoppare i soliti furbi e gl’insofferenti alle discipline stradali, e se quest’esplosione di suoni impazziti lo renderà pazzo irascibile, avrà le sue buone ragioni, perché sembra che più di qualcuno ci sia cascato con la testa sopra il volante per suonare come se non avessero altro modo di impiegarla.   
Nella zona transennata, dato che è mezzogiorno, gli operai hanno deposto attrezzi e fantasia e si sono impegnati a scartare gl’involucri del pranzo; mi assale il pensiero che almeno uno di loro se lo sia preparato da solo e non perché non abbia una donna in casa, ma proprio perché c’è e non si occupa di lui, così per non sentirsi oltremodo umiliato, prepara il pranzo con le proprie mani; non è difficile tagliare una pagnotta a metà, prenderne una parte e riempirla di affettato. Forse quella donna appartiene alla stessa categoria di mia moglie, in qualsiasi ora del giorno, dentro casa stanno sempre in chicchere e piattini, e si fanno belle con le amiche che vanno spesso a trovarle. Sempre bene accette, loro. E la sera sono stanche, se non sono stanche hanno il mal di testa, c’è sempre qualche acciacco, dolori d’ossa ... «Sono io che lavoro! E tutto il resto, e tutto il giorno ... Tu... dopo le otto ore hai finito, che altro fai, tu?».
Preferisco un’orgia di traffico a donne simili.
«Ma che fa quel testa di cazzo?» Grida un tizio levando un braccio dal finestrino e poi dal finestrino fa uscire un grosso capoccione minaccioso, e poi alzando la voce e rivolgendosi a quello che sembra un automobilista indeciso incantato davanti alla segnaletica, aggiunge «‘A impiastro, te decidi o te serve un sollecito espresso?». Un altro rincara la dose e strilla «Portati la cartina, stronzo!» E c’è poco da fidarsi anche di quest’altro perché gli ha mostrato chiaramente un pugno chiuso anche se quell’indeciso non lo sta guardando e cerca di richiamare l’attenzione del vigile che poveraccio ha il suo da fare cercando d’intervenire sul semaforo manualmente per sbrogliare la matassa. Una signora prova a dirgli “prepotente” ma gli esce un fil di voce, invece un ragazzotto su un’auto sportiva sorride a quel tizio e dice «Lessalo co’ ‘na sleppa quel coglione».
Fortuna vuole che il vigile s’è avvicinato bloccando la manovra di “avvicinamento” dell’automobilista bellicoso e insofferente, indica a quello che potrebbe essere un turista disorientato dalla situazione e dalla segnaletica una corsia da prendere e lo fa passare azionando manualmente il semaforo di quella corsia.
Finalmente si sblocca il traffico di quest’incrocio balordo, ritorna normale uno spazio terreno con un mare di latta che si surriscalda, e non può essere colpa di alcuno se non è colpa di tutti e se questo accade sotto il sole cocente ci sono gli ... apriscatole per i cervelli di latta che riescono a pensare e non riescono ad essere tolleranti, questi coperchi di latta che custodiscono un cervello funzionante ad energia elettrica ... alternata. 




CONTROLLO  MOLECOLARE       


Solo per l’occasione il settecentesco salone delle conferenze era stato spazzato, lavato e stirato; disinfettato e persino derattizzato. 
L’avvenimento era troppo importante per badare alle spese, il personaggio era troppo importante per restarsene nell’anonimato della provincia, perseverando la tradizionale mediocrità silenziosa e controproducente.
Si trattava di sua Eminenza Grigia, il più grande!
Fu tirato in alto l’interruttore generale.
Le mille lampadine degli enormi lampadari brillarono all’unisono d’orgoglio.
Un odore di calce veniva dalle pareti. 
I braccioli di mogano delle poltroncine di pioppo
mandavano l’antico odore della lucidatura fatta a mano col tampone di spirito, gomma lacca e olio paglierino.
Venne introdotto l’autorevole relatore. 
Un’ovazione e subito un silenzio riverente. 
Scricchiolò solo qualche poltrona, una giuntura secca o un tarlo in età avanzata.
­L’autorevole professore, attaccò e parlò per mezz’ora. 
Quando si zittì all’improvviso, tutti restarono attoniti in silenzio, un silenzio di tomba; ma per fortuna si versò un bicchiere d’acqua e prima di riprendere il discorso, guardò la caraffa e ammonì:
«Buona!»   L’acqua non si mosse.
Stette immobile, placida, adagiata nel suo livello.
Il professore autorevole autoritario relatore di retorica continuò e finì la sua storia sul controllo molecolare.
DIGIUNO ESISTENZIALE


Eccola che arriva!
Assemblaggio rudimentale senza fantasia. Alta, altera, impettita; quattr’ossa stecchite tenute in piedi dall’abbondanza dei vestiti, colorati come una cartolina illustrata... 
Vorrei sapere chi l’ha affrancata e fatta consegnare a questo indirizzo. Sono stato io? Beh... nella vita si sbaglia e si sbaglia di grosso.
Eccola che arriva, apparecchia la tavola: la fruttiera al centro la forchetta a sinistra del piatto e il coltello a destra. Due bicchieri acqua-vino due caraffe acqua e vino. Tovaglioli. Manca il cestino del pane? Un attimo, ecco che arriva. S’era distratta un secondo a vedere il suo programma preferito pettegolezzi in TV puntuali come una rata dell’amministratore del condominio. Non ha sbagliato una mossa, tra poco scodella la pastasciutta.
Alzo il periscopio dell’appetito col corpo sott’acqua. 
Sono stufo della solita pappa, rifiuto, digiuno; sto sottopressione sottovuotospinto... Spinto dal bisogno rosicchio un osso di libidine, mi accontento di quel culo secco che sta in faccia al lavandino, un dessert insipido ma meglio di un cocco e un ficodindia; reclamo una sensualità di rito antico, ad effetto immediato, e una fantasia morbosa per contorno.
Non pretendo troppo prima di morire, sbucciami una carezza, fammi sentire un brivido che corre lungo la schiena... E giù, giù, dov’è la sentinella sempre all’erta... All’erta sta, chiusa in caserma.
Altrimenti sparecchia, butta tutto dalla finestra.


GELOSIA


Non c’era nessuno accanto a te, profumavi d’amore.
Te ne stavi sdraiata da sola sulla sabbia davanti all’immensa indifferenza del mare bello, ma d’un azzurro cupo e solitario.
La camicetta sul petto era più spalancata del portone di una cattedrale il giorno di Pasqua e la veste lunga, sollevata come il ponte levatoio di un castello il giorno delle nozze della figlia della castellana; le cosce aperte, ti facevi possedere in modo osceno dal dio sole, amante ridestato a primavera.
Precipitava su di te dall’alto delle sue particelle plurimiliardarie in perenne esplosione di calore; penetrava ogni trama del vestito, era tenero sui tuoi capelli, delicato sulle tempie t’addolciva di passione 
e indugiava sulla gola e s’addormentava sul tuo ventre in modo lascivo e vergognoso.
Tu subivi senza protestare le sue interminabili carezze, godevi immobile senza quasi respirare.
Io sono rimasto come paralizzato, impotente, umiliato; non potevo competere con quell’amante instancabile silenzioso, si concedeva, entrava nella tua pelle senza chiederti niente, e poi mi sembravi immersa nell’ipnosi più profonda e deliziosa che si possa immaginare e desiderare.
Svegliarti sarebbe stata un’inutile e vigliacca cattiveria.
INGANNO


Sul davanzale d’una finestra, lo scatto secco di una tagliola ha troncato di netto la zampetta d’un passero che incauto s’era azzardato a posarsi sul piano di quel trabocchetto improvvisato. 
È volato via d’istinto e quel che ha perso gli peserà quando andrà a rifugiarsi sul ramo amico dal quale era partito. 
Dove andrà? Come saltella?
Ma che importa a quel ragazzotto obeso che ne ha fatto un passatempo? Sgranocchia la merenda e ricarica la trappola, sgranocchia e guarda una colonna di formiche più organizzata di un esercito di spazzini; porteranno via tutto, zampetta e briciole sparse, per compenso ne ammazzerà un centinaio (di più?) e dopo quest’intervallo finirà con comodo la sua merendina.  Non voglio guardare quel che fa, ci siamo guardati in faccia io e un merlo che ha seguito tutta la scena, voleva farsi una fischiatina ma ci ha ripensato per solidarietà, chissà anche a lui sarà già accaduto di doversi salvare da un invito a cena, trappola compresa e di essersela cavata rimettendoci qualche piuma. 
Indifferente è rimasta la fontanella del giardino, da tempo discorre da sola giorno e notte, forse rammaricata da quando è morta la vecchia signora arteriosclerotica e operosa; scendeva all’alba e rifaceva il verso ai merli acconciata come una cornacchia, saltellava agevolmente ed era convinta di avere casa all’incrocio ingarbugliato dei rami centrali di una quercia, ci teneva una scala poggiata e ci saliva in quarta. Un giorno c’è cascata.


PRIMA RATA


«Per Diana! Per Eva!»
«E non bestemmiare! Sei sempre il solito».
E chi bestemmia? Io non ce l’ho neanche con quelle signore che ho appena menzionato, è stato un puro caso... Però... santiddio, santamadonna... da una moglie, da una donna, un uomo uno che si rispetti, uno come me, come il sottoscritto coi coglioni che ancora gli fumano, non dico che dalla sua donna ancora piacente e valida deve pretendere lo strip-tease... chi te l’ha chiesto? Ma un abbozzo di spogliarello casareccio-ruspante, incerto, e appassionato... uno sculettare provocante.... Mostrare... Celare... Dare ad intendere... 
«Insomma, non hai capito?»
«Non sono cose che si fanno a questa età... tra poco... non lo sai che stiamo per diventare nonni? E tu non pensi ad altro che a queste sciocchezze?»
«Sciocchezze? Farci una scopata è una sciocchezza? E quali sono le cose seria ad una certa età?»
«Ecco... è che col passar degli anni stai diventando più volgare!»
«Ah! Sì! Farci una scopata a questa età è compromettente per la salute del nipotino, della sua crescita, del suo avvenire magari pure delle sue scelte future sulla professione da intraprendere e sul tipo di studi da portare avanti... Ma che cazzo dici? Me lo sai dire che cazzo dici?»
«Ma insomma che vuoi?»
«Io? Certo, io qualche cosa credo di volere, ancora, perché se dessi retta a te mi rincoglionirei prima del tempo... Che voglio? E che sono cose da chiedere? Magari le metto per iscritto? Ti mando una raccomandata? Te la leggi in santa pace e poi la butti nel cestino come se tu fossi l’esaminatrice e io un imbranato ad un provino cinematografico? Sì, un provino teatrale come la scena che potresti fare adesso prima d’entrare in camera mezza spogliata e mezza ardente. Io posso prenderti in braccio anche se stai sui settanta chili per difetto e non per eccesso... Certo rimpiangerei quelle costole che ti spuntavano dal camicione se tiro fuori le immagini della prima notte... Se non sbaglio ce ne facemmo quattro e la mattina senza aver chiuso occhio eravamo vispi e canterini come due fringuelli sull’albero della cuccagna ad aspettare il mercato, la fiera di quel paese nel Gargano».
«Parli di trent’anni fa, scemo».
«E che c’entra? Ognuno sa il suo... e come si chiama quel tuo cugino? Quello che la moglie gli nascose le pasticche del Viagra, perché le prendeva per andare con l’amica e con lei, quelle rare voglie che lei stessa gli proponeva, faceva sistematicamente cilecca? Come si chiama? Fai finta di non capire? Sì, quello... E’ del cinquanta come me, millenovecentocinquanta, dopo Cristo, dopo il divorzio, dopo l’aborto... Io non mi posso lamentare! Ci ho la voglia, è una vergogna? Non è il contrario? Vogliamo fare un sondaggio?»
«Un sondaggio per le porcherie?»
«Senti, sono preoccupato, io sono diventato più esigente e meno rinunciatario, ma sono rammaricato e costernato nel vedere quanta fatica fai a camminare pancia in dentro e petto in fuori, sì come un soldato, perché la vita è una battaglia che non ammette cedimenti, e tu pare che stia affrettandoti a salire l’ultimo piano del centro anziani dove sta scritto “Tutela della perduta sessualità”, ed è qualcosa di peggio di un pensionato, in quanto non ci devi abitare, resti a casa, e se come pare questa pensione ti verrà accettata, quello che ti interesserà e coprirà la tua giornata, sarà di leggere il bollettino e sapere a quanto ammonterà la prima rata».
«M’hai ricordato che i versamenti volontari per integrare gli anni che ho lavorato li interrompesti dopo un anno, e grazie a te mi ritrovo senza uno straccio di pensione, io sola, però. Adesso esco. Se tardo e vuoi cenare, il tegame è sul gas... Lo sai accendere, no? Ciao».  
PENSIERINO DI NATALE


Sììììì! So perdonare. E non tutti sono sempre disponibili a fare qualcosa per il prossimo. Io sì, ed ho il mio metodo.
     Manca pochissimo a Natale... Mi farò portare un abete, un abete gigantesco e lo farò impiantare nel giardino: per far felice la mia donna, questa donna laconica e perennemente insoddisfatta che guarda sempre all’erba più alta e più verde del vicino di casa e le sfugge però che quell’individuo disgustoso ha una trippa enorme che gli provoca l’asma e una faccia sudata da fare schifo!
Cara mia! Ho avuto un’idea geniale e non bado a spese, per accontentarti sacrifico mezza tredicesima, che cavolo!
Cara mia! Se non ti riterrai soddisfatta e appagata da questo mio pensiero originale solo a te riservato e ti dico che non avresti nulla da invidiare se qualcun’altro alla sua donna gli dedicasse una carrozza intera delle Ferrovie dello Stato, ti avverto, senza dirti niente, andrò in garage dove da tempo giace inutilizzata una corda di canapa indiana.
L’ho visto fare, l’ho visto fare in TV.
 Occorrerà soltanto un po’ di sapone, il Marsiglia va bene. Dovrò semplicemente tirarti su per farti stare comoda se all’ultimo momento ti passerà per la testa di svenire cascandomi addosso. Così se non vorrai darmi una mano prenderò quella scaletta robusta di tre gradini, legno pieno e attacchi in ferro da quattro millimetri...
Se dovrò tirarti su devo stare attento alla schiena, a te non è mai fregato niente dell’ernia del disco che mi perseguita da vent’anni... Sì quella sarà un problema... Devo stare attento agli sforzi, l’ortopedico mi consigliò una postura a gambe flesse per sollevare un peso... 
«Superiore ai cinquanta?» Volle sapere.
«Pressappoco, dottore»
«E che ci devi sollevare, un terranova?»
Naturalmente non ho detto che forse avrei dovuto issare un peso morto di circa sessanta chili sopra uno sgabello.
La sua serietà professionale (la conosco) mi avrebbe consigliato un laboratorio ortopedico di sua fiducia per un busto anatomico con stecche di acciaio.
Ma questo è da scartare; ci sono due prove, una anatomica e una d’ancoraggio, e poi... ci vuole un milione tondo tondo. In contanti, quelli non rateizzano i lavori su misura che fanno per te.
Sììììì! So perdonare. Per assaporare la vendetta. Più in là. Più avanti. Quando sarò sicuro che l’abete trapiantato in giardino è completamente attecchito. Quando avrà messo bene bene le sue radici. 
E’ tutto calcolato, andrà tutto bene. L’ho visto in Tivvù.


NEL CERCHIO DEL ...


Nel cerchio del binocolo del passato ... voglio dare uno sguardo a casa, quell’unica stanza al piano terra nel quartiere medioevale dove sono nato.
Sopra la porta c’è una bella apertura semicircolare per farci entrare gratuitamente luce e aria, all’interno appare subito una misera cucinetta che non intendo neanche provare a descrivere; una tenda e una credenza tutelano e nascondono l’intimità di una camera completa, un letto, una specie di settimino sgangherato e un “vis-à-vis”.
Tornando un attimo all’ingresso-cucina una piccola tenda è posta sotto il lavandino e nasconde la tazza del cesso, è sempre ben tirata e si capisce perché; sopra il lavandino c’è la bagnarola dell’acqua sempre piena caricata tutti i giorni alla fontana e serve per pulire il cesso, lavare il pavimento e il sudore di chi ci abita. Il bucato viene fatto al lavatoio comunale e mia madre ci va sempre di sera perché non ama spettegolare con le vicine. 
In questa reggia mia madre fa volteggiare uno straccio in aria per cacciare le mosche, poi mi lava, mi veste d’amore e mi manda a giocare. Nel cerchio non vedo mio padre. Allora lo sposto verso il bar e lo trovo a giocare a carte.
Sono cresciuto, ho fatto il soldato, ho trovato un posto in una fabbrica e mi sono sposato; poco fa me ne stavo andando a spasso con una perla per mano e l’ho portata a salutare suo nonno che mescola le carte in una sala da gioco, si prende una caramella e gli dà un bacio.
Chi mi vestiva d’amore se ne è andata soffrendo, ma io sono sicuro che il messaggero della morte quando la segnalò indicò lei per sbaglio.
COPPIA ROMANTICA


Guida persino senza la sigaretta in bocca, come spesso proprio non gli accade e davanti agli occhi s’agitano ancora i preparativi frenetici della mattinata ...
«Dev’essere tutto pronto per lunedì mattina, ooh! avete capito? Impiallacciatura assemblaggio, imballaggio completo e tutto caricato sul camion, tutto ... capito? OOH! Capito?» 
- Come no? Avevano capito tutti, che cazzo si deve fare per guadagnarsi lo stipendio ... -
Ha imboccato distrattamente un sentiero diverso dal solito di tutte le domeniche pomeriggio, perché da tre mesi a questa parte è sempre lo stesso, il sentiero della scopata, tanto per chiarire, la scopata o il pompino con Severina, l’ultima conquista.
Severina, la cassiera dell’ipermercato, e lui che l’aveva notata, per farsi notare a sua volta per un’intera settimana, ogni pomeriggio alla stessa ora, dopo il lavoro naturalmente perché prima non poteva assentarsi neanche se in laboratorio avesse telefonato il presidente della Repubblica, entrò nel suo settore fece la fila dove quella ragazza aveva la cassa, mostrò e pagò per una confezione di preservativi di marca, supersensibili.
Lei lo notò perché aveva dei bellissimi occhi verdi, ma dette ad intendere che gli acquisti avevano aperto la breccia per una conoscenza più approfondita.
Una volta a settimana, di domenica, dopo pranzo, in macchina, per un breve tragitto agli “Oliveti abbandonati”.    
Lei è un tipo allergico ai cambiamenti, alle sorprese e peggio ancora alle improvvisate, se ne è accorta e interviene d’istinto, quasi non fosse il tragitto dell’amore ma un sequestro di persona; dice guardando in tutte le direzioni:  
«Amò! Ma dove me porti?»
«Ma che hai sbagliato l’incrocio con la provinciale?»
«Eppure ho visto quando l’hai imboccato ... sempre a destra come tutte le volte ... 
Possibile che me sò distratta? 
Ma no! La conosco a memoria ...»
Lui ha fermato la macchina, guarda avanti cercando di raccapezzarsi, ma non ha nessuna intenzione di perdere tempo, vuole scaricare la tensione accumulata dal lunedì al sabato e quella supplementare della mattinata appena trascorsa, la mattinata di domenica che lo ha caricato come una balestra senza bersaglio.
Sta pensando che a quel punto un posto vale l’altro, è sufficiente cercare un riferimento per la retromarcia, per dopo, prima che scenda la sera, così tornerà rilassato e riprenderà possesso del suo buon umore, che gli ha sempre procurato buoni amici e ragazze da portare in luoghi appartati a fare sesso. Gira la chiave e spegne il motore. 
La macchina sta vicino a un cespuglio, dalla parte del passeggero, lei che da un minuto ci ha messo gli occhi, sempre guardando in basso, esclama: «Amò! Amò!»
«Guarda qua che casino! Che schifo!
Ci staranno mille fazzoletti de carta, guarda, guarda, è pieno de preservativi ... me sembra che qualcuno è pure scoppiato ... ma che pò succede? Tiè ... ci hanno buttato pure la scatola ... de Hatù ... quella marca che venivi a prendere al supermercato ... Ma ... quella che pigli adesso è meglio? ...»
Poi sbotta: «Amo! Ma che ci semo venuti affà in mezzo a sto prato? Non ci sta un albero, qui me sa che c’era un oliveto immenso che hanno dato al fuoco, se no ... non si spiega ...».
Questo sfogo viene interrotto dall’arrivo di una macchina, chissà da dove è sbucata oppure era tanto presa che non s’è accorta che da qualche lato ci sono delle confluenze a quello che dovrà essere un raduno di coppiette; magari è presto; però, più tardi all’imbrunire ... 
Ci sono infatti altre auto parcheggiate, ma sono così lontane e anonime ... sì perché nel frequentare una zona dopo breve tempo si riconoscono gli habitué, i soliti della domenica pomeriggio e quelle auto; quelle marche e quei colori per lei diventati amici, clienti come i clienti del supermercato, le davano un ragionevole conforto.
La nuova arrivata si ferma a pochi metri dalla loro auto, quasi l’affianca, c’è il parasole dalla parte del guidatore e un passeggero, a primo acchitto pare una coppia giovane. Forse tanto giovane da non volersi appartare, stare più isolata, per timore di sorprese spiacevoli e indesiderate. 
Lui aveva notato la macchina qualche momento prima, quando lei s’era accorta che oltre il prato si scorgevano le sagome di una linea di montagne, aveva chiesto più a se stessa che al compagno: «Che sò quelle? Le Prealpi? quegli altri, come si chiamano ... gli Appennini? BOH!»
Il nuovo arrivo aveva avuto l’effetto di un calmante, l’aveva azzittata e incuriosita, e questo per lui andava bene. L’aveva rassicurata, aveva smesso di monologare e sbirciava la coppietta che se ne stava senza far niente, anche loro sbirciavano quella che forse gli appariva come una coppia esperta e navigata, e come chi naviga una settimana in fabbrica e poi sbarca, ciò che vuole è fare sesso con la sua donna; adesso oltre quello non ha voglia di fare nemmeno uno sbadiglio.
Lei sta dando un’occhiatina alla coppietta che si sta baciando come gli invitati a un matrimonio, con pudore e riverenza, allora la spinge verso l’estremità del sedile facendola addossare alla portiera, in modo che c’entri anche lui di fianco, magari è un po’ scomodo ma serve allo scopo; le passa il braccio sulla spalla destra facendola aderire maggiormente e l’altra mano mobile l’infila sotto la maglietta, con destrezza fino al seno nudo passando sotto la coppa del reggiseno.
Lei dice «Amò, fermo ...» Ma lo dice sempre ogni volta, anche quando prova a farle scendere le mutandine e l’ha sdraiata sul sedile in un battibaleno pressando la leva dello schienale (a che servono i sedili ribaltabili se non a questo e a questo scopo soltanto?) adesso però la sente passiva, distratta.
Sembra talmente incuriosita dalla coppietta vicina di macchina che non può far altro che adeguarsi alla situazione; dice a se stesso che non si scopa, no, questa è una domenica sfigata. Ma lo stimolo ormai è arrivato, c’è e si fa sentire, e qualcosa bisogna fare, adattarsi, sì ... adattarsi ... Le toglie la mano dal seno, prende la sua mano, la guida fino al suo sesso, rigido sotto i pantaloni, e lei finalmente dà un segno di partecipazione, lo stringe, ne cerca i contorni sotto la stoffa. 
Lei mormora appena, guarda ... si baciano soltanto ...
Lui li ha guardati un paio di volte e gli basta, sono principianti non lo interessano più di tanto ... sta entrando nella droga del sesso, non può distrarsi altrimenti starà male per tutta la settimana ... Dice, su ... su ... sbottona, e lei gli libera il sesso, lo tiene con tre dita e si china a guardare che i testicoli non restino imprigionati dalla chiusura lampo ...
Lui ne approfitta equivocando, e con la mano dietro la nuca cerca di spingerle la testa in basso, lei resiste, dice, No!
Un no secco e dolce allo stesso tempo, ma ugualmente chiaro. Lei prende a masturbarlo con una lentezza quasi esasperante, e lui capisce che dovrà essere quello l’epilogo del rapporto, non può tornare a casa col sesso rigido e dolorante, con la mente altrove, immagina che sia la segretaria del principale con la bocca sul pene, quella cavallona che entra in fabbrica come se la volesse dare a tutti e trentacinque nell’arco di una giornata di lavoro ... E la colpa è solo sua, forse ha le sue cose ma non ha detto niente, e tutto questo interesse per due che si baciano? No. No! Bisogna ricollegare l’immagine fantasiosa con la segretaria particolare ...
Si placa, tiene il capo sul petto di lei come un cucciolo di cane o una scimmietta.
... Si baciano, si baciano soltanto ... Il pensiero è costantemente dentro di lei, li guarda stupita e affascinata; loro stessi hanno sempre il capo rivolto nella sua direzione, e in certi momenti le pare addirittura di coglierne lo sguardo, sembrano “in posa” adesso, si sono scambiati un bacio e poi si sono rivolti a lei, e lei deve fotografarli? E’ lei la fotografa dell’Amore?         
Il godimento di lui la riconduce alla realtà. Prende un fazzoletto di carta e glielo dà, senza guardarlo; lui si pulisce, sta per buttarlo dal finestrino, poi gliene chiede un altro, ci avvolge quello usato e ripone tutto nel vano stereo. Ci mette un attimo ad avviare il motore.
E pensa che quella stronza non l’ha fatto scopare.
A lei balza in mente il pensiero che in tre mesi che si frequentano lui l’avrà baciata sì e no tre volte, e tutte in una volta, quando lei “gliela ha data”.
Dà uno sguardo a quei due imbranati; anche a te è andata male dice tra sé e sé, niente scopata niente pompino, mi sa che non te l’ha neanche toccato, si guarda allo specchietto retrovisore, ha gli occhi arrossati la fronte sudata, mette i capelli a posto con le dita di una mano; lei si sta guardando dal suo specchietto.
Dice abbastanza distrattamente: «Amò! Non è male ‘sto posto. Ci veniamo qualche altra volta?»
«Col cazzo» gli verrebbe da rispondere.
Avvia l’auto, imbrunisce, è meglio trovare subito “l’imbocco”.
«Come no!» gli dice con ironia.
«Questo è il posto delle coppie romantiche!»
Abbassa il finestrino, accende una sigaretta.
  «Ma non dovevi smettere?» fa subito lei.
- Me chiami amore, amò, ma quanto rompi. – Lo pensa ma non lo dice -.
«Pure tu me la dai sempre e stavolta m’hai mannato in bianco».
E questo glielo dice scoprendo i bei denti al sorriso e infilandole la mano tra le cosce.
MATTINATA FUORI ORDINANZA


Venerdì 29 gennaio, Tivoli alta. NEVICA!
E su questo non ci piove, non si discute.
Scostando la tendina dalla finestra che dà sulla strada, ho assistito allo scivolone improvviso di un signore di mezz’età, brizzolato, magro e senza cappotto, abita a due passi da casa. S’è rialzato come un’anguilla, quasi si vergognasse, subito e senza bestemmiare; i pochi passanti erano completamente occupati  a non urtarsi ed a scegliersi il percorso migliore. Io dico che non se ne sono neanche accorti.
L’anguilla umana si è subito infilato nel Minimarket, direzione settore frutta e verdura, minireparto con bilancia, bustina di plastica trasparente, guanti usa e getta. Fai da te, scegli, insacchi, digiti e pesi, passi in cassa e paghi. Non ho difficoltà a monitorare i percorsi; ogni minireparto ha un’enorme vetrina che s’affaccia sulla strada. Io ci sto di fronte.
Ha messo le mani su una sacchetta di patate. Poi ci ha ripensato e ne ha prese due; avrà considerato che dopo la nevicata ci sarà la gelata, saranno ostacolati i trasporti via terra, l’insalata costerà il doppio e l’energia elettrica subirà un rincaro dovuto alla domanda.
Una massaia smaliziata sa che si risparmia lessando le patate sul fornello a gas, sfruttando la luce naturale che non è ancora tassata; ho una dirimpettaia che sta telefonando da quando è caduto il primo fiocco di neve, sono le undici, è trascorsa un’ora esatta, la casalinga oziosa tiene sempre il cellulare attaccato all’orecchio; ogni tanto cambia mano e non si stanca, non gli frega niente del risparmio, perché posso anche sbagliarmi, ma sono certo che l’anguilla umana che sta uscendo dal Minimarket è proprio l’uomo che l’ha sposata.
Ritorna a casa col suo carico di patate... «E la ricarica? Va’ dal tabaccaio, va’!»